V'è una specie di delicatezza della giustizia divina, che esita a scatenare sull'usurpatore illustre lo storico formidabile, che fa grazia di Tacito a Cesare, che accorda al genio le circostanze attenuanti.
Certo, il dispotismo rimane dispotismo, anche sotto il despota di genio, e v'è corruzione sotto i tiranni illustri; ma la peste morale è ancor più orrenda sotto i tiranni infami. In quei regni, nulla fa velo alla vergogna; e coloro che danno un esempio, Tacito al pari di Giovenale, schiaffeggiano più inutilmente, al cospetto del genere umano, codesta ignominia senza scuse.
Roma puzza più sotto Vitellio che sotto Silla. Sotto Claudio e Domiziano v'è una deforme bassezza che corrisponde alla bruttezza del tiranno; la viltà degli schiavi è un prodotto diretto del despota; esala un miasma da quelle coscienze rannicchiate in cui si riflette il padrone; i poteri pubblici sono immondi, i cuori sono piccini, le coscienze sono piatte, le anime sono cimici. Così sotto Caracalla, così sotto Commodo, sotto Eliogabalo; mentre dal senato romano sotto Cesare esce solo quell'odore di sterco, proprio dei nidi d'aquila.
Ciò spiega il sopraggiungere, in apparenza tardivo, dei Taciti e dei Giovenali: la denuncia compare nell'ora dell'evidenza.
Ma Giovenale e Tacito, allo stesso modo di Isaia nei tempi biblici, di Dante nel medio evo, sono l'uomo; la sommossa e l'insurrezione, invece, sono la moltitudine, che ora ha torto ed ora ha ragione.
Nei casi più generali, la sommossa proviene da un fatto materiale, mentre l'insurrezione è sempre un fenomeno morale.
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