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      La sua morte, preveduta, era temuta dal popolo come una perdita e dal governo come un'occasione. Fu un lutto; e, come tutto ciò che è amaro, il lutto può volgere alla rivolta, il che avvenne appunto.
      La vigilia e il mattino del 5 giugno, giorno fissato per il funerale di Lamarque, il sobborgo Saint-Antoin, che il corteo doveva sfiorare, prese un aspetto preoccupante. Quel tumultuoso dedalo di vie si riempì di rumori; tutti si armavano come potevano. Alcuni falegnami portavano il barletto del banco «per sfondare le porte»; uno di essi s'era fatto un pugnale con un uncinetto da calze, rompendolo e aguzzando il troncone; un altro, nella febbre «d'attaccare», si coricava da tre giorni completamente vestito. Un carpentiere, certo Lombier, incontrava un compagno che gli chiedeva: «Dove vai?» «O bella, non ho armi.» «E allora?» «Vado al cantiere a prendere il compasso.» «Per farne cosa?» «Non lo so», diceva Lombier. Un tale Jacqueline, uomo deciso, avvicinava gli operai che passavano: «Vieni con me!» Pagava loro dieci soldi di vino e diceva: «Hai lavoro?» «No.» «Va' da Filispierre, tra la barriera Montreuil e la barriera Charonne, e ne troverai.» Da Filispierre si trovavano armi e cartucce. Certi capi conosciuti facevan la posta, vale a dire correvan dall'uno e dall'altro per radunare seguaci. Da Barthélemy, vicino alla barriera del Trone, e da Capel, al Petit-Chapeau i bevitori s'accostavano con aria grave; si sentivan dire: «Dove tieni la pistola?» «Sotto il camiciotto. E tu?» «Sotto la camicia.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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