» In via Traversière, davanti all'opificio del fabbricante Bernier, bisbigliavano numerosi gruppi. Si notava un certo Mavot, il più ardente, che non resisteva mai più d'una settimana in un opificio, perché i padroni lo licenziavano «poiché ogni giorno bisognava litigare con lui». Mavot fu ucciso il giorno dopo nella barricata di via Ménilmontant. Pretot, che doveva anch'egli morire nella lotta, assecondava Mavot, e a questa domanda: «Qual è il tuo scopo?» rispondeva: «L'insurrezione.» Alcuni operai radunati sull'angolo di via Bercy aspettavano un Lemarin, agente rivoluzionario per il sobborgo Saint-Marceau; e quasi pubblicamente venivano scambiate parole d'ordine.
Il 5 giugno, dunque, con un tempo fra pioggia e sole, il convoglio del generale Lamarque attraversò Parigi colla pompa militare ufficiale, accresciuta per precauzione. Due battaglioni coi tamburi abbrunati ed i fucili volti a terra, diecimila guardie nazionali armate di sciabola e le batterie dell'artiglieria della guardia nazionale scortavano il feretro. Il carro funebre era tirato da parecchi giovani; lo seguivano immediatamente gli ufficiali degli invalidi, portando rami d'alloro; poi veniva una moltitudine innumerevole, agitata e strana, gli iscritti alla sezione degli Amici del Popolo, la scuola di diritto, quella di medicina, i profughi di tutte le nazioni, bandiere spagnuole, italiane, tedesche e polacche, bandiere tricolori orizzontali, tutti gli stendardi possibili, bimbi che agitavano rami verdi, tagliapietre e carpentieri, che proprio in quel momento erano in sciopero, tipografi, riconoscibili dal berretto di carta; e tutti camminavano a due a due, a tre a tre, emettendo grida, agitando quasi tutti un bastone, taluni una sciabola, senza ordine, eppure, con un'anima sola, ora folla disordinata, ora colonna.
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