Alcuni plotoni si sceglievano i capi; un uomo, armato d'un paio di pistole perfettamente visibili, sembrava passasse in rivista altre persone, le file delle quali si aprivano davanti a lui. Sui viali secondari dei grandi corsi, sui rami degli alberi, ai balconi, alle finestre, sui tetti, un formicolio di teste: uomini, donne e fanciulli, gli sguardi pieni d'ansia. Passava una folla armata guardata da una folla sgomenta.
Il governo, da parte sua, osservava: osservava colla mano sull'impugnatura della spada. Si poteva vedere, prontissimi a marciare e colle giberne piene, in piazza Luigi XV, quattro squadroni di carabinieri, in sella e clarini in testa; nel «paese latino» e al Giardino Zoologico stava la guardia municipale, scaglionata per le vie; al mercato dei vini uno squadrone di dragoni e alla Grève una metà del 12° cacciatori, l'altra metà del quale era alla Bastiglia; il 6° dragoni ai Célestins e il cortile del Louvre pieno d'artiglieria. Il resto delle truppe era consegnato nelle caserme, senza contare i reggimenti dei dintorni di Parigi; il potere inquieto teneva sospesi sulla moltitudine minacciosa ventiquattromila soldati in città e trentamila nella zona esterna.
Nel corteo circolavano diverse voci; si parlava di intrighi legittimisti, del duca di Reichstadt, che Dio abbandonava alla morte proprio in quel momento in cui la folla lo designava per l'impero. Un personaggio rimasto sconosciuto andava annunciando che all'ora stabilita due ispettori guadagnati alla causa popolare avrebbero aperto al popolo le porte d'una fabbrica d'armi.
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