Una scala a botola nella sala a terreno conduceva alla cantina. Al secondo piano era l'alloggio degli Hucheloup, al quale si saliva per una scaletta ripidissima, che aveva per ingresso una porta segreta nella gran sala del primo piano; sotto il tetto, due solai abbaini, nido di serve. La cucina condivideva il pianterreno colla sala del banco.
Forse, papà Hucheloup era nato chimico; fatto sta, però, che era cuoco e che nella sua bettola, non solo si beveva, ma si mangiava. Hucheloup aveva inventato una vivanda eccellente che si poteva mangiare solo da lui, e precisamente certe carpe ripiene, ch'egli chiamava carpe in grasso (carpes au gras). Si mangiava quella ghiottoneria alla luce d'una candela di sego o d'una lucerna a più becchi, del tempo di Luigi XVI, su tavole sulle quali era inchiodata una tela cerata a guisa di tovaglia; e la gente veniva da lontano. Un bel giorno, Hucheloup aveva ritenuto opportuno avvertire i passanti della sua «specialità»; aveva intinto un pennello in un vaso di color nero e, siccome aveva una sua particolare ortografia, così come una sua propria cucina, aveva improvvisato sul muro della taverna codesta notevole scritta:
CARPES HO GRAS
Un inverno, gli acquazzoni e i temporali avevano avuto il capriccio di cancellare l'S che finiva la prima parola e il G che incominciava la terza; per cui era rimasto soltanto scritto:
CARPE HO RAS
Coll'aiuto del tempo e della pioggia, un umile avviso gastronomico era divenuto un consiglio profondo.
Così era capitato che, non sapendo il francese, papà Hucheloup aveva saputo il latino, che aveva fatto uscire dalla cucina la filosofia e volendo semplicemente superare Carême, aveva uguagliato Orazio; e quel che più importa, è che anche la nuova frase voleva dire: «Entrate nella mia taverna.
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