Verso il 1830, papà Hucheloup morì e con lui scomparve il segreto delle carpe ripiene. La vedova, poco consolabile, continuò ad esercire la bettola; ma la cucina degenerò e divenne esecrabile, mentre il vino, che era sempre stato cattivo, diventò spaventoso. Pure, Courfeyrac ed i suoi amici continuarono a recarsi a Corinto, «per compassione», diceva Bossuet.
La vedova Hucheloup era ansimante e deforme, con qualche reminiscenza campestre, alla quale toglieva scipitezza colla pronuncia; aveva infatti un suo modo di dire le cose che dava sapore ai suoi ricordi villereschi e primaverili. Ella affermava che un tempo era per lei una gioia sentire «i rossignuoli cantare fra i bianchispini».
La sala del primo piano, in cui trovavasi il «ristorante» era un lungo stanzone ingombro di deschetti, sedie, panche e di tavole, oltre ad un vecchio bigliardo zoppicante. Vi si giungeva dalla scala a chiocciola che faceva capo in un angolo della sala ad un foro quadrato, simile ad un boccaportello di nave.
Quella sala, rischiarata da una sola finestrella e da un lume a più becchi sempre acceso, aveva un aspetto sordido. Tutti i mobili a quattro gambe si comportavano come se ne avessero tre; i muri, imbiancati a calce, avevan per solo ornamento la seguente quartina, in onore di mamma Hucheloup:
Stupisce a dieci passi, a due d'orror agghiaccia.
Il naso vacillante è da un gran porro invaso,
Sì, che sempre si teme non ve lo soffi in faccia,
E che un bel giorno in bocca non le finisca il naso.
Questa quartina era scritta sul muro col carboncino.
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