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Enjolras abbandonò svelto il monello e mormorò poche parole a voce bassissima ad uno scaricatore del porto dei vini, lì presente. L'operaio uscì dalla sala e rientrò quasi subito, accompagnato da altri tre; e quei quattro uomini, quattro facchini dalle larghe spalle, andarono a porsi, senza far nulla che potesse attirare la sua attenzione, dietro la tavola alla quale stava appoggiato l'uomo di via Billettes. Eran visibilmente pronti a gettarsi su di lui.
Allora Enjolras s'avvicinò all'uomo e gli chiese:
«Chi siete?»
A quella brusca domanda, l'uomo sobbalzò. Puntò il suo sguardo nel bianco dell'occhio d'Enjolras e parve leggervi il pensiero di lui; poi sorrise di un sorriso ch'era tutto ciò che può esser visto al mondo di più sdegnoso, di più energico e di più risoluto, e rispose con gravità sprezzante.
«Vedo di cosa si tratta... Ebbene, sì»
«Siete una spia?»
«Sono un inviato dell'autorità.»
«Vi chiamate?»
«Javert.»
Enjolras fece un cenno ai quattro uomini. In un batter d'occhio, prima che Javert avesse avuto il tempo di voltarsi, egli fu preso pel collo, atterrato, legato e perquisito.
Gli venne trovato indosso un cartoncino rotondo, incollato fra due vetri e portante da un lato lo stemma di Francia, stampato, con questa leggenda: Sorveglianza e vigilanza, e dall'altra questa menzione: Javert, ispettore di polizia, dell'età di cinquantadue anni; e la firma del prefetto di polizia d'allora, Gisquet.
Aveva inoltre l'orologio e la borsa, che conteneva alcune monete d'oro; la borsa e l'orologio gli vennero lasciati.
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