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      Quel Cabuc, mentre faceva bere coloro che aveva seco, pareva osservasse con aria di riflessione la grande casa del fondo della barricata che dominava coi suoi cinque piani tutta la via, fronteggiando via San Dionigi. All'improvviso, esclamò:
      «Sapete, compagni? Bisognerebbe sparare da quella casa. Quando fossimo alle finestre di essa, bravo chi avanzasse nella strada!»
      «Sì, ma la casa è chiusa,» disse uno dei bevitori.
      «Bussiamo!»
      «Non ci apriranno.»
      «Sfondiamo la porta!»
      Le Cabuc corre alla porta, che aveva un battente massiccio, e bussa: la porta non s'apre. Batte una seconda volta: nessuno risponde. Un terzo colpo, lo stesso silenzio.
      «C'è qualcuno?» grida Le Cabuc.
      Nessun movimento.
      Allora egli afferra un fucile e comincia a percuotere la porta a colpi di calcio. Era una vecchia porta ad arco, bassa, angusta, solida, tutta di quercia, foderata all'interno da una lastra di latta e da un'armatura di ferro: una vera postierla da fortezza. I colpi di calcio facevan tremare la casa, ma non scuotevano la porta.
      Pure, è probabile che gli abitanti si fossero commossi, poiché alla fine si vide illuminarsi ed aprirsi una finestrella quadrata al terzo piano, ed apparire a quella finestrella una candela e la testa attonita e sgomenta d'un povero diavolo dai capelli grigi, ch'era il portinaio.
      L'uomo che bussava s'interruppe.
      «Che desiderate, signori?» chiese il portinaio.
      «Apri!» disse Le Cabuc.
      «Non è possibile, signori.»
      «Apri lo stesso.»
      «Impossibile, signori.»
      Le Cabuc impugnò il fucile e prese di mira il portinaio; ma siccome egli era sotto e faceva buio fitto il portinaio non lo vide.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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