Io ho quindi giudicato e condannato a morte quest'uomo; quanto a me, costretto a fare quel che ho fatto, ma detestandolo, mi sono pure giudicato e vedrete ben presto a che cosa mi sia condannato.»
Coloro che stavano in ascolto trasalirono.
«Noi condivideremo la tua sorte,» gridò Combeferre.
«E sia,» riprese Enjolras. «Ancora una parola. Giustiziando, ho ubbidito alla necessità; ma la necessità è un mostro del vecchio mondo, la necessità si chiama la Fatalità. Ora, la legge del progresso vuole che i mostri spariscano davanti agli angeli e che la Fatalità svanisca, di fronte alla fraternità. È un brutto momento per pronunciare la parola amore, ma non importa: io la pronuncio e la glorifico. Amore, tu hai l'avvenire dalla tua: io mi servo di te, morte, ma ti odio. Nell'avvenire, cittadini, non vi saranno né tenebre, né fulmini, né ignoranza feroce, né sanguinoso taglione. Poiché non vi sarà più Satana, non vi sarà più Michele. Nell'avvenire nessuno ucciderà alcuno, la terra splenderà e il genere umano amerà: verrà, cittadini, quel giorno in cui tutto sarà concordia, armonia, luce, gioia e vita. E appunto perché venga noi stiamo per morire.»
Enjolras tacque. Le sue labbra di vergine si chiusero ed egli rimase per qualche tempo ritto in piedi nel punto in cui aveva versato il sangue, in un'immobilità marmorea. Il suo sguardo fisso faceva sì che tutti parlassero a bassa voce intorno a lui.
Jean Prouvaire e Combeferre si stringevano la mano in silenzio e, appoggiati l'uno contro l'altro all'angolo della barricata, osservavano con una ammirazione in cui entrava molta pietà quel grave giovane, carnefice e prete, fatto di luce come il cristallo e, al pari di esso, di roccia.
| |
Combeferre Enjolras Fatalità Fatalità Satana Michele Prouvaire Combeferre
|