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Pazzo di dolore, sentendo che più nulla era solido e fermo nel suo cervello, incapace ormai d'accettare più cosa alcuna dalla sorte, dopo quei due mesi trascorsi nelle ebbrezze della gioventù e dell'amore, accasciato contemporaneamente da tutte le fantasticherie della disperazione, non aveva più che un desiderio: farla finita al più presto.
Si mise a camminare rapidamente. Il caso voleva ch'egli fosse armato, poiché aveva indosso le pistole di Javert.
Il giovanotto che aveva creduto di scorgere s'era sottratto al suo sguardo nelle vie.
Mario, ch'era uscito da via Plumet dalla parte del viale, attraversò l'Esplanade e il ponte degli Invalidi, i Champs Elisées e la piazza Luigi XV e raggiunse la via Rivoli. Là i negozi erano aperti, i fanali a gas ardevano sotto i portici, le donne facevano i loro acquisti nelle botteghe; la gente prendeva il sorbetto al caffè Laiter e i dolci alla Pasticceria inglese. Solo qualche carrozzella partiva al galoppo dall'albergo dei Principi e dall'albergo Maurice.
Mario entrò dal passaggio Delorme nella via Saint-Honoré. Quivi le botteghe erano chiuse, i mercanti stavano discorrendo davanti alle porte semiaperte, i passanti circolavano, i fanali erano accesi e a partire dal primo piano tutte le finestre erano illuminate come al solito. In piazza del Palazzo Reale v'era la cavalleria.
Mario seguì via Saint-Honoré. A mano a mano che s'allontanava dal Palazzo Reale, diminuiva il numero delle finestre illuminate; le botteghe erano completamente chiuse, e nessuno discorreva sulla soglia di esse; la via andava facendosi più tetra e nello stesso tempo la folla cresceva.
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