Tutto ciò era a dieci tese da lui ed era l'interno della barricata.
Le case che costeggiavan la viuzza a destra gli nascondevano il resto della taverna, la grande barricata e la bandiera.
Mario aveva solo un passo da fare.
E allora l'infelice giovane sedette sopra un paracarro, incrociò le braccia e pensò a suo padre. Pensò a quell'eroico colonnello Pontmercy, ch'era stato un così fiero soldato, che aveva custodito sotto la repubblica la frontiera della Francia e raggiunto sotto l'imperatore la frontiera dell'Asia, che aveva visto Genova, Alessandria, Milano, Torino, Madrid, Vienna, Dresda, Berlino e Mosca, che aveva lasciato su tutti i campi di vittoria dell'Europa qualche goccia di quel sangue ch'egli, Mario, aveva nelle vene, ch'era incanutito anzitempo nella disciplina e nel comando, vissuto col cinturone affibbiato, le spalline ricadenti sul petto, la coccarda annerita dalla polvere, sulla cui fronte l'elmo aveva impresso una ruga, sotto la baracca, al campo, al bivacco, alle ambulanze e che in capo a vent'anni era tornato dalle grandi guerre colla guancia sfregiata e il volto sorridente semplice, tranquillo, mirabile, puro come un bimbo, dopo aver fatto tutto per la Francia e nulla contro di essa.
E si disse che anche il suo giorno era giunto, che anche la sua ora era suonata e che, dopo suo padre, anch'egli stava per esser coraggioso, intrepido e valoroso; che anch'egli stava per correre incontro alle palle da fucile, per offrire il petto alle baionette, per versare il sangue, per sfidare il nemico, per sfidare la morte; che stava per fare alla sua volta la guerra e per scendere sul campo di battaglia, e che quel campo di battaglia sul quale stava per scendere era la via, così come quella guerra che stava per fare era la guerra civile!
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