Mario aveva ancor troppo poco vissuto, per sapere che non v'è nulla di più imminente dell'impossibile e che se v'è una cosa che bisogna sempre prevedere, è l'imprevisto; ed assisteva al suo dramma, come ad un lavoro teatrale che non si capisce.
In quella confusione del suo pensiero, non riconobbe Javert, il quale, legato al suo palo, non aveva fatto un gesto col capo durante l'attacco della barricata e guardava agitarsi intorno la rivolta colla rassegnazione d'un martire e la maestà d'un giudice. Mario non lo scorse neppure.
Intanto gli assalitori non si muovevano; si sentivano camminare e brulicare all'estremità della via, ma non vi si avventuravano, sia che aspettassero ordini, sia che, prima di scagliarsi di nuovo su quella formidabile ridotta, aspettassero rinforzi. Gli insorti avevan collocato qualche sentinella, e taluni studenti di medicina, s'eran messi a fasciare i feriti.
Erano stati buttati fuori dalla taverna i tavoli, eccezion fatta di due riservati alle filacce ed alla polvere e di quello su cui giaceva papà Mabeuf; eran stati aggiunti alla barricata e sostituiti nella sala a terreno dai materassi dei letti della vedova Hucheloup e delle serve. Su quei materassi eran stesi i feriti. Quanto alle tre povere creature che abitavano Corinto, non si sapeva che ne fosse stato; pure, si finì col rintracciarle, nascoste in cantina.
Una dolorosa emozione venne a rattristare la gioia della barricata liberata.
Fatto l'appello uno degli insorti mancava. E chi? Uno dei più cari, uno dei più coraggiosi, Jean Prouvaire.
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Javert Mabeuf Hucheloup Corinto Jean Prouvaire
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