In quel momento la voce di galletto del piccolo Gavroche echeggiò nella barricata. Il fanciullo salito sopra una tavola per caricare il fucile cantava allegramente la canzone allora tanto popolare:
Vedendo Lafayette,
Il gendarme ripete:
Scappiam, scappiam, scappiamo!
Eponina si sollevò e stette in ascolto, poi mormorò: «È lui.»
E volgendosi verso Mario:
«È qui mio fratello. Bisogna che non mi veda: mi sgriderebbe.»
«Vostro fratello?» chiese Mario, che riandava nelle più amare e dolorose profondità dell'animo agli obblighi che il padre gli aveva lasciati in legato verso i Thénardier.
«Il piccolo.»
«Quello che canta?»
«Sì.»
Mario fece un gesto.
«Oh, non andatevene!» ella disse. «Ormai, non andrà per le lunghe!»
S'era messa quasi a sedere, ma la sua voce era bassissima e interrotta dai singhiozzi: di tanto in tanto, il rantolo l'interrompeva. Ella accostò più che poté il viso a quello di Mario. E aggiunse con un'espressione strana:
«Sentite. Non voglio farvi una burla: ho in tasca una lettera per voi, fin da ieri. M'avevan detto d'impostarla, ma io l'ho tenuta. Non volevo che vi giungesse. Ma forse voi sareste arrabbiato con me, fra poco, quando ci rivedremo. Perché ci si rivede, nevvero? Prendete la vostra lettera.»
Afferrò convulsamente colla mano bucata quella di Mario; ma pareva non sentisse più il dolore. Introdusse la mano di lui nella tasca del suo camiciotto, e Mario vi sentì davvero un foglio di carta.
«Prendete,» ella disse.
Mario prese la lettera, ed ella fece un cenno di consenso e di soddisfazione.
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