Era Gavroche che passava in via Chaume.
III • MENTRE COSETTE E TOUSSAINTS DORMONO.
Jean Valjean rientrò in casa colla lettera di Mario.
Salì le scale a tastoni, soddisfatto del buio, come un gufo che stringa la preda, aperse e richiuse dolcemente l'uscio, stette in ascolto se udisse qualche rumore, constatò che, secondo tutte le apparenze, Cosette e Toussaints dormivano, tuffò nella bottiglia fosforica Fumade tre o quattro fiammiferi, prima di poter farne sprizzare la scintilla, tanto gli tremava la mano; infine, quando la candela fu accesa, sedette davanti alla tavola, spiegò il foglio e lesse.
Nelle emozioni violente, non si legge; si afferra, per così dire, il foglio che si ha in mano, lo si stringe come una vittima, lo si spiegazza, gli si ficcan dentro le unghie, sia per la collera, sia per la contentezza, si corre alla fine e si salta il principio; l'attenzione ha la febbre e capisce solo, all'ingrosso, l'essenziale; afferra un punto, e tutto il resto sparisce. Nel biglietto di Mario a Cosette, Valjean vide solo queste parole:
«... muoio... Quando leggerai questa lettera, la mia anima ti sarà vicina...».
Alla vista di quelle due righe, provò il senso d'un abbaglio e rimase un istante come schiacciato dal mutamento di commozione che s'andava compiendo in lui. Guardava il biglietto di Mario con una specie d'ebbro stupore: aveva davanti agli occhi questa splendida cosa: la morte dell'essere odiato.
Gettò un orrendo grido di gioia interiore. Dunque, era finita! La catastrofe era arrivata molto più presto di quanto egli non avesse osato sperare.
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