Frugò in tasca e ne trasse un pezzo di carta e un mozzicone di matita, sgraffignata a un falegname; poi scrisse:
«Repubblica francese.»
«Ricevuto il tuo carretto.»
E firmò: «gavroche».
Ciò fatto, mise il foglio in una tasca del panciotto di velluto del facchino sempre russante, afferrò con ambo le mani le stanghe e partì nella direzione dei mercati, spingendosi avanti il carretto al gran galoppo, con glorioso fracasso trionfale.
Era pericoloso. Alla Stamperia reale un posto di guardia, al quale Gavroche non aveva pensato, era occupato dalle guardie nazionali del circondario. Una certa irrequietudine incominciava ad agitare il distaccamento e le teste si sollevavano sulle brande: due lampioni fracassati uno dopo l'altro e quella canzone cantata a squarciagola eran già molto per vie così pigre, che han voglia di dormire al tramonto del sole e spengono così presto la candela. Da un'ora il birichino faceva in quel pacifico mandamento il fracasso d'un moscerino in una bottiglia. Il sergente del circondario stava in ascolto e aspettava; era uomo prudente.
Il forsennato fragore del carretto che correva colmò la misura d'ogni possibile aspettativa e determinò il sergente a tentare una ricognizione.
«È certo una banda intera!» disse. «Andiamo adagio adagio.»
Era chiaro che l'Idra dell'Anarchia era uscita dalla sua scatola e stava dimenandosi nel quartiere. E il sergente s'arrischiò ad uscire dal posto a passi guardinghi.
Ad un tratto Gavroche, che stava spingendo il carretto, nel momento in cui stava per sbucare dalla via delle Vieilles Haudriettes, si trovò a faccia a faccia con un'uniforme, un cheppì, un pennacchio e un fucile; e, per la seconda volta, si fermò di botto.
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