È uno di quei rari momenti in cui, facendo quel che si deve fare, si sente qualche cosa che sconcerta e quasi sconsiglierebbe di proseguire. Si persiste, perché bisogna farlo; ma la coscienza soddisfatta è triste e il compimento del dovere si complica d'una stretta al cuore.
      Il giugno del 1848, fu, affrettiamoci a dirlo, un fatto a sé, quasi impossibile a classificarsi nella filosofia della storia. Tutte le parole che abbiamo or ora pronunciate debbono essere messe in disparte, quando si tratta di questa sommossa straordinaria, in cui si sentì la santa ansietà del lavoro che reclamava i suoi diritti. Fu necessario combatterla, ed era dovere il farlo, perché essa assaliva la Repubblica; ma in fondo, che cosa fu il giugno 1848? Una rivolta del popolo contro se stesso.
      Quando il soggetto non venga perduto di vista, non v'è affatto digressione. Ci venga dunque permesso di fermare un momento l'attenzione del lettore sulle due barricate assolutamente uniche, delle quali abbiamo parlato e che caratterizzarono quell'insurrezione.
      Una di esse ingombrava l'ingresso del sobborgo Saint-Antoine, mentre l'altra impediva l'accesso al sobborgo del Tempio; coloro davanti ai quali si sono eretti, sotto lo sfolgorante cielo azzurro del giorno, quei due capolavori della guerra civile, non li dimenticheranno mai.
      La barricata Saint-Antoine era mostruosa: alta tre piani e larga settecento piedi, sbarrava da un estremo all'altro la vasta imboccatura del sobborgo, che è quanto dire tre vie; scoscesa, frastagliata, dentellata, spezzettata e merlata da un immenso squarcio, puntellata da contrafforti ch'erano da soli bastioni, spingendo in fuori qua e là delle sporgenze, possentemente addossata ai due grandi promontorî di case del sobborgo, sorgeva come una diga ciclonica in fondo alla terribile piazza che ha visto il 14 luglio.