Suvvìa: bisogna che coloro che hanno famiglia facciano i bravi, ci diano una buona stretta di mano e se ne vadano, lasciandoci qui soli a sbrigare la faccenda. Lo so che ci vuol coraggio per andarsene e che è una cosa difficile; ma quanto più difficile, tanto più è meritoria. V'è chi dice: 'Ho un fucile e sono alla barricata; tanto peggio, ci resto'. Si fa presto, a dire tanto peggio! V'è un indomani, amici miei, e voi non sarete presenti a questo indomani; ma le vostre famiglie lo saranno. E quanti dolori! Guardate: lo sapete cosa diventa, quando viene abbandonato, quel bambino robusto, dalle guance che paiono una mela, che chiacchiera, ciarla, ciancia, ride, tutto fresco sotto il bacio? Ne ho visto uno, piccolissimo, alto così. Suo padre era morto e alcuni poveretti l'avevan raccolto per carità; ma non avevan pane neppure per loro, e il bimbo aveva sempre fame. Era inverno. Non piangeva: lo vedevano andare vicino alla stufa, dove non v
'era mai fuoco e il tubo, come sapete, era sigillato colla terra refrattaria. Il fanciullo staccava coi suoi ditini un po' di quella terra e la mangiava. Aveva la respirazione affannosa, la faccia livida, le gambe molli, il ventre enfiato e non diceva nulla; gli parlavano e non rispondeva. È morto; lo portarono a morire all'ospedale Necker, dove lo vidi: ero studente di medicina in quell'ospedale. Ed ora, se fra voi vi sono padri, che ascrivano a felicità il passeggiare la domenica, tenendo nella loro buona mano robusta la manina del loro piccino, ciascuno di essi s'immagini che quel bimbo sia il suo.
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Necker
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