Tuttavia, una palla meglio tirata o più traditrice delle altre finì per raggiungere il fanciullo fuoco fatuo. Fu visto Gavroche vacillare, poi accasciarsi. Tutta la barricata gettò un urlo; ma in quel pigmeo v'era qualche cosa dell'Anteo, e toccare il selciato, per quel birichino, era come per il gigante toccare la terra. Gavroche era caduto solo per rialzarsi; restò seduto, mentre un lungo rivoletto di sangue gli solcava il viso e, alzando le braccia in alto, guardò verso la parte da cui era venuto il colpo e si mise a cantare:
Io son caduto in terra,
La colpa è di Voltaire;
Col naso dentro al fosso,
La colpa è di...
Non poté finire: una seconda palla dello stesso tiratore l'interruppe. Stavolta, s'abbatté col viso contro il selciato e non si mosse più. Quella piccola grande anima s'era involata.
XVI • COME DA FRATELLO SI DIVENTI PADREProprio in quel momento, nei giardini del Lussemburgo, si trovavano (lo sguardo del dramma dev'essere dappertutto) due fanciulli che si tenevan per mano. L'uno d'essi poteva avere sette anni, l'altro cinque; siccome la pioggia li aveva inzuppati, camminavano nei viali dalla parte del sole, il maggiore conducendo il minore. Erano cenciosi e pallidi, con un'aria d'uccelli selvatici. Il più piccolo diceva: «Ho tanta fame.»
Il maggiore, già un po' protettore, si tirava dietro il fratello colla mano sinistra, un bastoncino nella destra.
Eran soli nel giardino che era deserto, perché i cancelli eran chiusi per misura di polizia, a causa dell'insurrezione. La truppa che vi aveva bivaccato ne era uscita, per le necessità del combattimento.
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