Quel che è lassù, in cima, allo zenit, e manda tanta luce sulla terra ci vedrebbe poco, male o niente del tutto? Non è una cosa da spingere alla disperazione? No. Ma che cosa c'è allora, al disopra del sole? Il dio.
Il 6 giugno 1832, verso le undici del mattino, il Lussemburgo, solitario e spopolato, era incantevole. I filari d'alberi e le aiuole si rimandavano l'un l'altro, nella luce, balsami e splendori; i rami, come impazziti sotto la luce del mezzodì, parevano cercarsi per un abbraccio. Nelle acacie era un gran chiasso di capinere, i passeri trionfavano e i picchi s'arrampicavano lungo i castagni, dando qualche beccatina nei fori della scorza. Le aiuole accettavano la legittima regalità dei gigli; poiché il più augusto dei profumi è quello che esce dal candore. Si respirava l'odore penetrante dei garofani; le vecchie cornacchie di Maria dei Medici facevano all'amore sui grandi alberi e il sole dorava, imporporava ed infiammava i tulipani, i quali non sono altro che tutte le varietà della fiamma fatte fiori. Intorno alle zolle di tulipani turbinavano le api, scintille di quei fiori fiamma. Tutto era grazia ed allegria, perfino la pioggia vicina; codesta recidiva, della quale dovevano approfittare i mughetti ed i caprifogli, non aveva nulla d'inquietante e le rondini facevano la dolce minaccia di volare basso. Chi era presente aspirava la felicità; la vita mandava un grato profumo; tutta quella natura esalava il candore, il soccorso, l'assistenza, la paternità, la carezza, l'aurora.
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Lussemburgo Maria Medici
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