I pensieri che cadevano dal cielo eran dolci come quando si bacia una manina di bimbo.
Le statue sotto gli alberi, nude e bianche, indossavano vesti di ombra, bucherellate di luce; quelle dee eran tutte cenciose di sole; da ogni parte, pendevan loro sbrendoli di raggi. Intorno alla grande vasca, il terreno era gią secco, quasi riarso. V'era tanto vento quanto ce ne voleva per sollevare qua e lą piccoli vortici di polvere; e alcune foglie gialle, rimaste dall'inverno precedente, si rincorrevano allegre come se giocassero.
La luce diffusa aveva un che di rassicurante. Vita, linfa, calore ed effluvī traboccavano; si sentiva sotto la creazione l'abbondanza della sorgente; in tutti quegli aliti compenetrati d'amore, in quell'andirivieni di riverberi e di riflessi, in quel prodigioso spreco di raggi, in quel fluire indefinito d'oro liquido, si sentiva la prodigalitą dell'inesauribile; e, dietro quello splendore, come dietro una cortina di fiamme, s'intravedeva Dio, quel milionario di stelle.
Grazie alla sabbia, non v'era una macchia di fango; e, grazie alla pioggia, non un grano di polvere. I cespi di fiori eran lavati, e tutti i velluti, tutti i rasi, tutte le vernici e tutti gli ori che escono dalla terra sotto forma di fiori erano irreprensibili. Quella magnificenza era linda. Il grande silenzio della natura felice riempiva il giardino, silenzio celeste, compatibile con mille musiche, quali i pigolii dei nidi, il ronzģo degli sciami, il palpito del vento. Tutta l'armonia della stagione si spiegava in un grazioso insieme; le entrate e le uscite avvenivano nell'ordine voluto e, ora che i lilla avevan finito, i gelsomini incominciavano; alcuni fiori erano in ritardo, alcuni insetti in anticipo; e l'avanguardia delle farfalle rosse del giugno armonizzava colla retroguardia delle farfalle bianche del maggio.
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Dio
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