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      Se i due poverini avessero ascoltato e fossero stati in età di comprendere, avrebbero potuto raccogliere le parole d'un uomo grave. Il padre diceva al figlio:
      «Il saggio vive contento di poco. Guardami, figlio mio; io non amo il fasto. Non mi si vede mai con giubbe ricamate d'oro e di gemme. Lascio questo falso splendore alle anime male educate.»
      A questo punto le grida profonde che venivano dalla parte dei mercati esplosero, insieme con un intensificarsi dello scampanìo e del fragore.
      «Cos'è, questo?» chiese il fanciullo.
      Il padre rispose:
      «Sono saturnali.»
      Ad un tratto, scorse i due piccoli straccioni, immobili dietro la casetta verde dei cigni.
      «Ecco il principio,» disse.
      E dopo una pausa, aggiunse:
      «L'anarchia entra in questo giardino.»
      Intanto il figlio dette un morso alla focaccia, la risputò e tutt'a un tratto si mise a piangere.
      «Perché piangi?» chiese il padre.
      «Non ho più fame,» disse il figlio.
      Il sorriso del padre s'accentuò.
      «Non occorre aver fame, per mangiare una focaccia.»
      «Sono stufo di questo dolce. È raffermo.»
      «Non ne vuoi più?»
      «No.»
      Il padre gli accennò i cigni.
      «Gettalo a quei palmipedi.»
      Il fanciullo esitò. Non aver più voglia del dolce non è un motivo per regalarlo.
      Il padre proseguì:
      «Sii umano. Bisogna aver pietà delle bestie.»
      E, togliendo al figlio il dolce, lo gettò nella vasca, dove cadde vicino all'orlo.
      I cigni eran lontani, nel centro del bacino, intenti a qualche preda e non avevano visto il borghese né la focaccia. Il borghese, intuendo che il dolce rischiava d'andar perduto, e commosso da quell'inutile naufragio, s'abbandonò ad un'agitazione telegrafica, che finì per attirare l'attenzione dei cigni.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886