Sorpassarono così il trapezio interno della barricata. Gli insorti, che badavan solo all'imminente attacco, volgevano le spalle. Solo Mario, collocato all'estremità sinistra dello sbarramento, li vide passare. Quel gruppo del paziente e del carnefice s'illuminò della fiamma sepolcrale che gli riempiva l'anima.
Valjean fece scalare a Javert, a fatica, ma senza lasciarlo un istante, la piccola trincea della viuzza Mondétour. Quand'ebbero scavalcato quello sbarramento, si trovarono soli nella via; nessuno più li vedeva e l'angolo delle case li nascondeva alla vista degli insorti. I cadaveri tolti dalla barricata formavano a pochi passi un terribile mucchio.
Nel cumulo dei morti, si distingueva una faccia livida, una capigliatura sciolta, una mano bucata e un seno di donna seminudo. Era Eponina.
Javert osservò colla coda dell'occhio quella morta e, profondamente calmo, disse sottovoce:
«Mi par di conoscere quella ragazza.»
Poi si volse verso Jean Valjean.
Questi si ficcò la pistola sotto il braccio e fissò su Javert uno sguardo che non aveva bisogno di parole per dire: «Javert, sono io.»
Javert rispose:
«Prenditi la rivincita.»
Valjean si levò di tasca un coltello e l'aperse.
«Un coltello!» esclamò Javert. «Hai ragione: è più adatto per te.»
Jean Valjean tagliò la martingala che stringeva al collo Javert, poi tagliò le corde che questi aveva ai polsi e infine, chinandosi, tagliò la funicella che gli legava i piedi. Si rialzò e gli disse:
«Siete libero.»
Javert non si stupiva facilmente; pure, per padrone che fosse di se stesso, non poté sottrarsi ad una scossa.
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