Infatti, fin dalla vigilia, le due file di case di via Chanvrerie erano divenute due muraglie, e muraglie fosche: porte chiuse, finestre chiuse, imposte chiuse.
In quei tempi, così diversi da quelli in cui ci troviamo adesso, quando era giunta l'ora in cui il popolo voleva farla finita con una situazione durata troppo a lungo, sia contro una «carta» concessa sia contro una patria legale; quando la collera universale era diffusa nell'atmosfera, quando la città era consentanea alla sollevazione dei suoi selciati, quando l'insurrezione faceva sorridere la borghesia sussurrandole la sua parola d'ordine all'orecchio; allora, diciamo, l'abitante, penetrato di ribellione, per così dire, era l'ausiliario del combattente e la casa solidarizzava colla fortezza improvvisata che le si appoggiava contro. Quando invece la situazione non era matura, quando l'insurrezione non riscuoteva un consenso decisivo, quando la massa sconfessava il movimento, era finita per i combattenti: la città si mutava in deserto intorno alla rivolta, gli animi si facevano di gelo, gli asili si muravano e la via si trasformava in una forra, per aiutare l'esercito a prendere la barricata.
Non si riesce a far camminare di sorpresa un popolo, più svelto di quanto esso non voglia; disgraziato colui che tenta di forzargli la mano!
Un popolo non lascia fare; piuttosto, abbandona l'insurrezione in balìa di se stessa, e gli insorti diventano appestati. Una casa è una parete a picco, una porta è un rifiuto, una facciata è un muro; muro che vede, sente e non vuole.
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Chanvrerie
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