Potrebbe socchiudersi e salvarvi: no. Quel muro è un giudice che vi guarda e vi condanna. Che cosa sinistra, quelle case chiuse! Sembrano morte, mentre sono vive, e la vita, ch'è come sospesa in esse, vi persiste; non ne è uscito nessuno da ventiquattr'ore, ma nessuno manca. Nell'interno di quella rupe si cammina, si va e si viene, ci si corica e ci si alza, si vive in famiglia, si beve e si mangia e, cosa orribile, si ha paura. La paura scusa quella formidabile inospitabilità e aggiunge lo sgomento, circostanza attenuante. Talvolta, anzi (lo si è visto), la paura diventa passione; infatti, lo sgomento può cambiarsi in furia, come la prudenza in ira, e da ciò deriva quella frase così profonda, quegli idrofobi moderati. Vi sono vampate di spavento supremo dalle quali esce, come un lugubre fumo, la collera: «Che vogliono, costoro? Non sono mai contenti e compromettono gli uomini pacifici. Come se non ne avessimo abbastanza, di queste rivoluzioni! Che son venuti a fare, qui? Se la cavino come possono. Tanto peggio per loro: colpa loro. Hanno quel che si meritano; la cosa non ci riguarda. Ecco la nostra povera via crivellata di palle! Sono una massa di furfanti! Soprattutto, non aprite la porta.» E la casa prende l'aspetto di una tomba. L'insorto agonizza davanti a quella porta; vede arrivare la mitraglia e le sciabole sguainate; se grida, sa che l'ascoltano, ma che non verranno in suo aiuto. Vi sono là muri che potrebbero proteggerlo e uomini che potrebbero salvarlo; ma quei muri hanno orecchi di carne, e quegli uomini hanno viscere di pietra.
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