Fu un momento terribile, poiché i soldati volevano penetrare e gli insorti chiudere; e la porta fu chiusa con una tale violenza, che, ricombaciando collo stipite, lasciò scorgere, tagliate ed appiccicate allo stipite stesso, le cinque dita d'un soldato che vi si era avvinghiato.
Mario era rimasto fuori. Una fucilata gli aveva proprio allora spezzato la clavicola; sentì che sveniva e cadeva. In quel momento, con gli occhi già chiusi, sentì con commozione una mano vigorosa che l'afferrava, e mentre veniva meno ebbe a stento il tempo di questo pensiero, congiunto al supremo ricordo di Cosette: «Mi fanno prigioniero. Sarò fucilato».
Enjolras, non vedendo Mario fra i rifugiati della taverna, ebbe la stessa idea; ma erano momenti in cui ognuno ha soltanto il tempo di pensare alla propria morte, perciò Enjolras mise la sbarra alla porta e la chiuse a catenaccio, assicurandone la serratura a doppia mandata, mentre di fuori essa veniva percossa vigorosamente, a colpi di calcio, dai soldati, a colpi di scure, dagli zappatori. Gli assalitori s'erano ammassati davanti a quella porta ed ora incominciava l'assedio della taverna.
Diciamolo subito, i soldati eran pieni di collera.
La morte del sergente d'artiglieria li aveva irritati; eppoi, cosa funesta durante le poche ore che avevan preceduto l'assalto, s'era sparsa la voce fra di essi che i rivoltosi mutilassero i prigionieri e che nella taverna vi fosse il cadavere d'un soldato decapitato. Questo genere di dicerie fatali è il consueto accompagnamento delle guerre civili; e fu per l'appunto una falsa voce di questa specie che originò, più tardi, la catastrofe di via Transnonain.
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Cosette Mario Enjolras Transnonain
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