Economicamente, il fatto può riassumersi così: Parigi è un paniere forato. Questa città modello, questo prototipo delle capitali ben fatte, di cui ogni popolo cerca d'avere una copia, questa metropoli dell'ideale, questa patria augusta dell'iniziativa, dell'impulso e del tentativo, questo centro e ritrovo delle menti, questa città nazione, quest'alveare dell'avvenire, questo meraviglioso composto di Babilonia e Corinto; Parigi, diciamo, dal punto di vista che abbiamo indicato, farebbe alzare le spalle ad un contadino del Fo-Kian.
Imitate Parigi, e andrete in rovina. Del resto, particolarmente in questo immemorabile e insensato spreco anche Parigi imita.
Codeste sorprendenti inettitudini non sono nuove; non si tratta d'una sciocchezza giovane, poiché gli antichi agivano come i moderni. «Le cloache di Roma,» dice Liebig «assorbirono tutto il benessere del contadino romano». Quando la campagna di Roma fu rovinata dalla chiavica romana, Roma esaurì l'Italia e, quand'ebbe messa tutta l'Italia nella sua cloaca, vi versò la Sicilia, poi la Sardegna e infine l'Africa. La chiavica di Roma ha inabissato il mondo; quella cloaca offriva la sua gola spalancata alla città e all'universo, urbi et orbi. Città eterna, cloaca senza fondo.
Per questo genere di cose, come per altre Roma dà l'esempio, e Parigi la segue, con tutta la bestialità particolare alle città spiritose.
Per la necessità dell'operazione sulla quale ci siamo spiegati or ora, Parigi ha sotto di sé un'altra Parigi; una Parigi di fogne, con le vie, i crocicchi, le piazze, i vicoli, le arterie, la sua circolazione, fatta di fango al quale manca, però, la forma umana.
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