Quella confusione è una confessione. Non più falsa apparenza là, non più truccatura possibile; il sudiciume si toglie la camicia, assolutamente nudo e distoglie dalle illusioni e dai miraggi; non v'è se non quello che v'è, che fa la sinistra figura di ciò che finisce. Realtà e scomparsa. Là, un fondo di bottiglia confessa l'ubriachezza, e un manico di paniere racconta il servidorame; là, un torso di mela che ha avuto qualche opinione letteraria ridiventa un torso di mela; l'effige del soldone si ricopre apertamente di verderame, lo sputo di Caifa incontra il vomito di Falstaff, il luigi d'oro che esce dalla bisca urta il chiodo dal quale pende la corda del suicida, e un feto livido vien travolto, avviluppato in una gonnella inorpellata che il precedente martedì grasso ballava all'Opera, mentre un tòcco che ha giudicato gli uomini s'infanga vicino ad un putridume che fu la sottana d'una sgualdrina. Non è più fraternità, ma familiarità. Tutto ciò che s'imbellettava si macchia; l'ultimo velo è strappato. Una chiavica è un cinico che dice tutto.
Questa sincerità dell'immondizia ci piace e riposa l'animo. Quando si è passato il tempo a subire sulla terra lo spettacolo delle grandi arie che si danno la ragion di stato, il giuramento, la saggezza politica, la giustizia umana, le probità professionali, le austerità occasionali e le toghe incorruttibili, solleva entrare in una fogna e vedere il fango che è dello stesso parere.
E, nello stesso tempo, serve d'insegnamento. Come abbiamo detto testé, la storia passa attraverso la fogna.
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Caifa Falstaff Opera
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