L'immaginazione popolare associava al sinistro condotto parigino un non so qual orrendo miscuglio d'infinito: la fogna era senza fondo; era il baratro. L'idea d'esplorare quelle regioni lebbrose non veniva nemmeno alla polizia. Chi avrebbe osato tentare quell'ignoto, gettare lo scandaglio in quell'ombra, andare alla scoperta di quell'abisso? Era spaventoso; eppure, qualcuno si presentò e la cloaca ebbe il suo Cristoforo Colombo.
Un giorno, nel 1805, in una delle rare apparizioni che l'imperatore faceva a Parigi, il ministro dell'interno, un Decrès o un Crétet qualunque, si recò ad assistere all'alzarsi da letto del padrone. Si sentiva nel Carousel lo strascicare delle sciabole di tutti quei soldati straordinarî della grande repubblica e del grande impero, e gli eroi ingombravano la porta di Napoleone: uomini del Reno, della Schelda, dell'Adige e del Nilo; compagni di Jobert, di Desaix, di Marceau, di Hoche, di Kléber; aerostieri di Fleurus, granatieri di Magonza, pontieri di Genova, ussari ch'erano stati guardati dalle Piramidi, artiglieri ch'erano stati inzaccherati dalla palla di cannone di Junot, corazzieri che avevan preso d'assalto la flotta ancorata nello Zuyder Zee. Taluni avevano seguito Bonaparte sul ponte di Lodi, altri avevano accompagnato Murat nella trincea di Mantova, altri ancora avevano sorpassato Lannes nelle trincee di Montebello. Tutto l'esercito d'allora era lì, nel cortile delle Tuileries, rappresentato da una squadra o da un plotone, per vegliare sopra Napoleone in riposo; ed era l'epoca splendida in cui la grande armata aveva dietro di sé Marengo e davanti a sé Austerlitz.
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