Se Valjean avesse risalita la galleria, sarebbe giunto, dopo mille sforzi, esaurito dalla stanchezza, morente, nel buio, ad un muro; e sarebbe stato perduto.
      A stretto rigore, s'egli fosse tornato un poco sui suoi passi, internandosi nel corridoio delle Filles du Calvaire (a patto di non esitare nel crocicchio sotto il quadrivio Boucherat), prendendo per il corridoio Saint Louis, poi, a sinistra, per il budello Saint-Gilles e poi svoltando a destra ed evitando la galleria San Sebastiano, avrebbe potuto raggiungere la fogna Amelot e di là, dato che non si fosse smarrito nella specie di F che trovasi sotto la Bastiglia, avrebbe potuto raggiungere l'uscita sulla Senna, vicino all'Arsenale. Ma per far questo, sarebbe stato necessario conoscere a fondo, in tutte le sue ramificazioni e aperture, l'enorme madrepora della fogna. Ora, noi dobbiamo insistere sul fatto ch'egli non sapeva nulla di quella viabilità spaventosa in cui s'aggirava; e, se gli avessero chiesto dov'era, avrebbe risposto: «Nel buio.»
      Il suo istinto lo servì bene. Infatti, la possibile salvezza stava nello scendere.
      Si lasciò a destra i due corridoi che si ramificavano in forma di artiglio sotto la via Lafitte e la via San Giorgio ed il lungo corridoio bipartito del viale d'Antin. Un po' al di là d'un affluente, verosimilmente la diramazione della Maddalena, si fermò, perché era stanchissimo. Uno spiraglio piuttosto ampio, probabilmente lo sportello di visita di via Angiò, dava una luce quasi viva. Valjean, colla dolcezza di un fratello per il fratello ferito, depose Mario sulla banchina della fogna; la faccia insanguinata di Mario apparve sotto il bianco chiarore dello spiraglio come in fondo ad una tomba, cogli occhi chiusi, i capelli appiccicati alle tempie come pennelli divenuti secchi nel color rosso, le mani penzolanti e inanimate, le membra fredde e un po' di sangue coagulato sull'angolo delle labbra.