Quel viluppo è il sepolcro che si fa marea e sale dal fondo della terra verso un vivente. Ogni minuto è un becchino inesorabile. Il miserabile tenta di sedersi, di coricarsi, di strisciare: tutti i gesti che fa lo sotterrano; si rialza, e sprofonda; si sente inghiottire; urla, implora, alza le grida alle nubi e si torce le braccia, disperato. Eccolo nella sabbia fino al ventre; la sabbia raggiunge il petto ed egli è ridotto ad un busto. Alza le mani, prorompe in furiosi gemiti, pianta le unghie nella sabbia, vuole afferrarsi a quella polvere, s'appoggia sui gomiti per strapparsi da quella molle guaina, singhiozza freneticamente; e la sabbia sale. La sabbia gli raggiunge le spalle, raggiunge il collo: solo la faccia è ormai visibile. La bocca grida, e la sabbia la riempie: silenzio. Gli occhi guardano ancora, e la sabbia li chiude: tenebre. Poi la fronte decresce, pochi capelli fremono al disopra della sabbia; una mano esce, fora la superficie del greto, si muove e s'agita, scompare. Sinistro annientamento d'un uomo.
Certe volte, il cavaliere viene ingoiato col cavallo; certe altre il carrettiere col carretto. Tutto affonda sotto il greto; è il naufragio fuori dell'acqua, la terra che annega l'uomo. La terra, penetrata d'oceano, diventa trappola: si offre come una pianura e s'apre come un'onda. L'abisso ha siffatti tradimenti.
Codesta macabra avventura, sempre possibile su una o l'altra spiaggia del mare, era pure possibile, trent'anni or sono, nella fogna di Parigi.
Prima degli importanti lavori incominciati nel 1833, la rete stradale sotterranea di Parigi era soggetta a subitanei scoscendimenti.
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