Il lento soffocamento per opera dell'immondizia, una scatola di pietra in cui l'asfissia apre il suo artiglio nella melma e afferra pel collo; il fetore misto al rantolo; il limo al posto della sabbia, l'idrogeno solforato invece dell'uragano, la spazzatura anziché l'oceano! E chiamare, e arrotare i denti e torcersi e dibattersi e agonizzare, con quella enorme città che non ne sa nulla sopra il capo!
Oh, indescrivibile orrore d'una siffatta morte! Talvolta, la morte riscatta la sua atrocità con una certa dignità terribile. Sul rogo, nel naufragio, si può essere grandi; nella fiamma, come nella schiuma, è possibile un atteggiamento superbo e, sprofondando in essi, ci si trasfigura. Ma qui no: la morte è sudicia, e lo spirare è umiliante. Le ultime visioni galleggianti sono abbiette; non per nulla fango è sinonimo di vergogna. È una cosa meschina, brutta, infame. Morire in una botte di malvasia, come il duca di Clarence, passi; ma nella fossa del fognaiolo, come d'Escoubleau, è orribile. È orrendo dibattersi là dentro, poiché, mentre si agonizza, si diguazza nel fango; v'è tenebra sufficiente perché sia l'inferno, fango bastante per essere un pantano; e il morente non sa se stia per divenire uno spettro o un rospo.
In qualunque altro luogo il sepolcro è sinistro; qui, è deforme.
La profondità dei fontanili variava, come la loro lunghezza e la loro densità, in ragione della maggiore o minore cattiva qualità del sottosuolo. Talvolta un fontanile era profondo tre o quattro piedi, tal altra nove o dieci; qualche volta non si trovava il fondo.
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Clarence Escoubleau
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