Si sentiva il dialogo aereo dei nidi che s'augurano la buona sera fra gli olmi dei Champs Elisées; e alcune stelle, che picchiettavano debolmente l'azzurro pallido dello zenit ed erano visibili solo alla fantasticheria, formavano nell'immensità impercettibili splendori minuscoli. La sera dispiegava sul capo di Jean Valjean tutte le dolcezze dell'infinito.
Era l'ora indecisa e deliziosa che non dice né sì né no. Le tenebre eran già abbastanza forti per potervisi smarrire a breve distanza, e v'era ancora quanta luce potesse bastare per riconoscersi da vicino.
Per qualche secondo Jean Valjean fu irresistibilmente vinto da tutta quella serenità augusta e carezzevole. Vi sono momenti d'oblio, in cui il dolore rinuncia a infierire sul miserabile e tutto s'eclissa, nel pensiero; la pace avvolge chi pensa come una tenebra e sotto il crepuscolo diffuso, l'anima, ad imitazione del cielo che s'illumina, si costella. Valjean non poté far a meno di contemplare quell'ampia ombra limpida che gli incombeva; pensoso, prendeva nel maestoso silenzio del cielo eterno un bagno d'estasi e di preghiera. Poi, rapido, come se si risvegliasse in lui il sentimento d'un dovere, si curvò verso Mario e, attingendo un po' d'acqua nel cavo della mano, gliene gettò poche gocce sul viso. Le palpebre di Mario non si apersero; pure, la bocca socchiusa respirava.
Jean Valjean stava per tuffare di nuovo la mano nel fiume, quando ad un tratto fu colto da una specie d'imbarazzo, come accade quando, senza vederlo, si ha qualcuno alle spalle.
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