Abbiamo già fatto cenno altrove di questa impressione, che tutti conoscono.
Egli si volse. Come un momento prima, qualcuno gli stava infatti alle spalle.
Un uomo d'alta statura, vestito di una lunga finanziera, le braccia incrociate, che stringeva nella destra una mazza della quale si vedeva il pomo di piombo, stava ritto, pochi passi dietro a Valjean, chino su Mario. Data l'ombra circostante, pareva una apparizione; e se un sempliciotto poteva averne paura per via del crepuscolo, un uomo riflessivo l'avrebbe avuta per via della mazza.
Jean Valjean riconobbe Javert.
Certo, il lettore ha indovinato che il pedinatore di Thénardier non era altri che Javert. Questi, dopo la sua insperata uscita dalla barricata, s'era recato alla prefettura di polizia, ne aveva reso verbalmente conto al prefetto in persona, in una breve udienza, poi aveva ripreso immediatamente il suo servizio, che implicava (il lettore ricorderà l'appunto sequestratogli nella barricata) una certa sorveglianza della riva destra della Senna, ai Champs Elisées, la quale da qualche tempo destava l'attenzione della polizia. Là aveva scorto Thénardier e l'aveva seguito. Il resto è noto.
Comprensibilmente l'apertura di quell'inferriata, fatta così gentilmente da Thénardier, era una furberia di costui. Thénardier sentiva che Javert era sempre là, poiché l'uomo spiato ha un fiuto che non l'inganna. Bisognava gettare un osso a quel bracco: che bazza, un assassino! È il boccone migliore, che non bisogna mai rifiutare. Thénardier, mettendo fuori Valjean al suo posto, dava una preda alla polizia, le faceva abbandonare la propria pista, si faceva dimenticare in un'avventura più grossa, ricompensava Javert della sua attesa, il che lusinga sempre una spia, guadagnava trenta franchi e faceva conto, per quel che lo riguardava, di svignarsela coll'aiuto di quella diversione.
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