Disponete di me come vi piacerà, ma aiutatemi prima a riportarlo a casa. Vi chiedo soltanto questo.»
La faccia di Javert si contrasse, come gli accadeva tutte le volte che qualcuno lo riteneva capace d'una concessione. Pure, non disse di no.
Si curvò nuovamente, trasse di tasca un fazzoletto che bagnò nell'acqua ed asciugò la fronte insanguinata di Mario.
«Quest'uomo era alla barricata,» disse a bassa voce e come se parlasse a se stesso. «Era quello che chiamavano Mario.»
Spia di prima qualità, egli aveva tutto osservato, tutto ascoltato, tutto inteso e tutto raccolto, anche quando credeva di morire; aveva spiato anche nell'agonia e, coi gomiti poggiati sul primo scalino del sepolcro, aveva preso i suoi appunti.
Afferrò la mano di Mario, cercando il polso. «È ferito,» disse Valjean. «È morto» disse Javert.
Valjean rispose:
«No, non ancora.»
«L'avete dunque portato dalla barricata a qui?» osservò Javert.
Bisognava che la sua preoccupazione fosse profonda, perché egli non insistesse affatto su quell'inquietante salvataggio attraverso la fogna e perché non notasse neppure il silenzio di Jean Valjean, dopo la sua domanda.
Valjean, da parte sua, pareva avesse un solo pensiero, e riprese:
«Abita al Marais, in via Filles du Calvaire, presso suo nonno... Non ricordo il nome.»
Frugò nella giubba di Mario, e tolse il portafogli, l'aperse alla pagina scritta a matita da Mario e lo tese a Javert; v'era ancora nell'aria una luce ondeggiante sufficiente per leggere e, del resto, Javert aveva nell'occhio la fosforescenza felina degli uccelli notturni.
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