Egli decifrò le poche righe scritte da Mario e brontolò: «Gillenormand, via Filles du Calvaire, numero sei.»
      Poi gridò: «Vetturino!»
      Il lettore ricordi che una carrozza da piazza aspettava per ogni evenienza.
      Javert conservò il portafogli di Mario.
      Un momento dopo, la carrozza, discesa lungo la rampa dell'abbeveratoio, era sulla riva; Mario venne deposto sul sedile posteriore e Javert sedette vicino a Jean Valjean, sul sedile anteriore.
      Richiuso che fu lo sportello, la carrozza s'allontanò rapidamente, risalendo i lungo Senna in direzione della Bastiglia. Abbandonati i lungo Senna, entrarono nelle vie. Il vetturino, nero profilo in serpa, frustava i suoi cavalli magri; nell'interno della carrozza, silenzio glaciale. Mario, immobile, col busto addossato alla spalliera di fondo, la testa piegata sul petto, le braccia penzoloni e le gambe stecchite, pareva non attendesse altro che un feretro; Valjean sembrava fatto d'ombra e Javert, di pietra; e in quella carrozza piena di tenebre, l'interno della quale, ogni qual volta passava davanti ad un lampione, appariva lividamente imbiancato come da un lampeggiare intermittente, il caso riuniva e pareva tristemente mettere a confronto, tre immobilità tragiche, il cadavere, lo spettro, la statua.
      X • RITORNO DEL FIGLIUOL PRODIGO DELLA SUA VITAAd ogni sobbalzo sul selciato, una goccia di sangue cadeva dai capelli di Mario.
      Era buio, quando la carrozza giunse al numero 6 di via Filles du Calvaire.
      Javert mise piede a terra per primo, constatò con un'occhiata il numero al disopra del portone e, sollevando il pesante martello di ferro battuto, istoriato all'antica, con un becco e un satiro che lottavano fra loro, picchiò un colpo violento.