Un battente si socchiuse e Javert lo spinse; s'intravide il portinaio che sbadigliava, vagamente sveglio, con un candeliere in mano.
Nella casa, tutti dormivano. Al Marais tutti vanno a letto presto, soprattutto nei giorni di sommossa; quel buon vecchio quartiere, sbigottito dalla rivoluzione, si rifugia nel sonno, così come i bimbi, sentendo arrivare il Mago Sabino, nascondono presto presto il capo sotto le coperte.
Intanto Valjean e il vetturino toglievano Mario dalla carrozza, Valjean, sostenendolo sotto le ascelle e il vetturino, sostenendolo sotto i garretti. Mentre trasportava Mario in quel modo, Valjean introdusse una mano sotto le vesti, largamente lacerate, tastò il petto e s'accertò che il cuore battesse ancora; esso, anzi, batteva un po' meno debolmente, come se il movimento della carrozza avesse determinato una certa ripresa della vita.
Javert interpellò il portinaio, col tono che s'addice al governo, di fronte al portinaio d'un sedizioso.
«Abita qui qualcuno che si chiami Gillenormand?»
«Sì. Che cosa desiderate da lui?»
«Gli riportiamo suo figlio.»
«Suo figlio?» fece il portinaio, inebetito.
«Il morto.»
Valjean il quale, stracciato e sporco, seguiva Javert, mentre il portinaio lo guardava con un certo ribrezzo, gli fece segno col capo di no. E il portinaio non parve capire né la frase di Javert né il segno di Valjean.
Javert continuò:
«È andato alla barricata, ed eccolo.»
«Alla barricata!» continuò il portinaio.
«E s'è fatto ammazzare. Svegliate suo padre.»
Il portinaio non si muoveva.
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