Voi perdete il tempo, medico stupido! Suvvia, è morto, proprio morto: io me ne intendo, io che sono pure un morto. Non ha fatto le cose per metà. Sì, questi tempi sono infami, infami, infami: ecco quel che penso di voi, delle vostre idee, dei vostri sistemi, dei vostri maestri, dei vostri oracoli, dei vostri dottori, dei vostri scrittori farabutti, dei vostri filosofi pezzenti e di tutte le rivoluzioni che da sessant'anni a questa parte spaventano gli stormi di corvi delle Tuileries! E poiché tu sei stato senza pietà, facendoti uccidere in questo modo, non avrò neppure il minimo rimpianto per la tua morte; mi capisci, assassino?»
In quel momento, Mario aperse lentamente le palpebre ed il suo sguardo, ancor velato dallo stupore del letargo, si fermò su Gillenormand.
«Mario!» gridò il vecchio. «Mario! Mio piccolo Mario! Fanciullo mio! Mio figlio prediletto! Tu apri gli occhi, mi guardi, sei vivo! Grazie!»
E cadde svenuto.
LIBRO QUARTOJAVERT SGOMENTO
Javert s'era allontanato a lenti passi dalla via dell'Homme-Armé.
Camminava a testa bassa, per la prima volta in vita sua, e, pure per la prima volta, colle mani dietro la schiena. Fino a quel giorno, dei due atteggiamenti di Napoleone, Javert aveva preso solo quello che esprime la risolutezza, ossia le braccia incrociate sul petto; quello che esprime l'incertezza, ossia le mani dietro la schiena, gli era ignoto. E ora, un cambiamento era avvenuto; tutta la sua persona, lenta e cupa, era improntata d'ansietà.
Si cacciò nelle vie silenziose; però seguiva una direzione.
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