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      «Soprattutto,» egli diceva «fate in modo che il ferito non abbia la più piccola emozione.» Le medicazioni erano complicate, difficili, non essendo ancor stato inventato a quei tempi, per fissare i bendaggi e le fasciature, lo sparadrappo. Nicoletta consumò in filacce un lenzuolo «grande come una casa», come diceva. Solo a stento le lozioni clorurate e il nitrato d'argento, vinsero la cancrena; e, finché vi fu pericolo, Gillenormand, perdutamente radicato al capezzale del nipote, fu come Mario: né morto, né vivo.
      Ogni giorno, e magari due volte al giorno, un signore dai capelli bianchi, molto ben vestito (questi erano i connotati forniti dal portinaio), veniva a chiedere notizie del ferito e lasciava un grosso pacco di filacce per la medicazione.
      Infine, il 7 settembre, esattamente quattro mesi dopo la dolorosa notte in cui era stato portato morente in casa del nonno, il medico dichiarò che rispondeva di lui. S'iniziò la convalescenza; però, Mario dovette ancor rimanere più di due mesi steso su una seggiola a sdraio, per via dei guai prodotti dalla frattura della clavicola. V'è sempre, in simili casi, un'ultima ferita che non vuol rimarginarsi e che prolunga le medicazioni, con grande fastidio del malato.
      Del resto, quella lunga malattia e la lunga convalescenza lo salvarono da un procedimento giudiziario. Non v'è collera, in Francia, neppur pubblica, che sei mesi non bastino a spegnere; le sommosse, nello stato in cui si trova la società, sono talmente la colpa di tutti, che sono seguite da una necessità di chiudere un occhio.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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