Diede tre luigi di mancia al portinaio e la sera, ritirandosi nella sua stanza, ballò una gavotta, accompagnandosi col pollice e l'indice a mo' di nacchere e cantando la canzone che segue:
A Fougères, di pastorelleVero nido, è nata Gianna:
Come adoro la sua sottanella,
Bricconcella!
E tu, amor, tu vivi in lei;
Poiché nella sua pupillaTu nascondi i tremendi dardi,
Maliardi.
Io la canto, perché l'amoPiù che Diana istessa, e rendo
Di Giovanna alle poppe sode,
Molta lode.
Poi si mise in ginocchio sopra una sedia, e Basco, che l'osservava dalla porta socchiusa, credette d'esser certo ch'egli pregasse. Fino a quel giorno non aveva creduto in Dio.
Ad ogni nuova fase del miglioramento, che andava sempre più delineandosi, il nonno dava in stravaganze e si abbandonava a inconscie manifestazioni di gioia. Scendeva e saliva per le scale, senza sapere perché; una vicina, graziosa del resto, fu tutta stupita di ricevere una mattina un gran mazzo di fiori, che le aveva mandato Gillenormand; e il marito fece una scena di gelosia. Tentò perfino di prendere sulle ginocchia Nicoletta e chiamava Mario il signor barone. Gridava: «Viva la repubblica!»
Ogni momento, chiedeva al medico: «Vero che non v'è più pericolo?» Guardava Mario cogli occhi d'una nonna; lo covava collo sguardo mentre mangiava. Non si riconosceva più e non teneva più nessun conto di sé: Mario era il padrone di casa. Nella sua allegrezza v'era un senso di abdicazione, ed era diventato il nipote di suo nipote.
In quell'allegrezza, era il più venerabile dei fanciulli.
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