Quel momento giunse.
III • MARIO ALL'ASSALTOUn giorno Gillenormand, mentre la figlia metteva in ordine boccette e tazze sul marmo del comodino, era chino su Mario e gli diceva, col suo accento tenero:
«Vedi, mio piccolo Mario, al tuo posto, ormai, mangerei a preferenza carne, anziché pesce. Una sogliola fritta è eccellente per incominciare una convalescenza; ma, per mettere in piedi il malato, ci vuole una buona costoletta.»
Mario, al quale eran pressoché tornate tutte le forze, le raccolse, si rizzò a sedere, appoggiò i due pugni stretti sulle lenzuola, guardò in faccia il nonno, prese un aspetto terribile e disse:
«Questo mi fa ricordare che debbo dirvi una cosa.»
«Quale?»
«Che voglio ammogliarmi.»
«Previsto,» disse il nonno. E scoppiò in una risata.
«Come, previsto?»
«Sì, previsto. L'avrai, la tua ragazzina.»
Mario, stupefatto e come colpito da folgore, tremò a membro a membro, mentre Gillenormand continuava:
«Ma sì, l'avrai, la tua bella bimba. Viene tutti i giorni, sotto le sembianze d'un vecchio signore, a sentir tue notizie. Da quando sei ferito, passa il suo tempo a piangere ed a far filacce. Mi sono informato; abita in via dell'Homme-Armé, al numero sette. Oh, eccoci, finalmente! La vuoi? E l'avrai. Ti sorprende la cosa, vero? Tu avevi fatto il tuo piccolo complotto e ti eri detto: 'Glielo dirò chiaro e tondo a quel nonno, a quella mummia della reggenza e del direttorio, a quel vecchio vagheggino, a quel Dorante divenuto Geronte. Anch'egli ha avuto le sue leggerezze, i suoi amorazzi, le sue sartine, le sue Cosette; li ha fatti anch'egli i suoi armeggii, ha avuto egli pure le ali, ha mangiato anch'egli il pane della primavera, e bisognerà bene che se ne ricordi.
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