Un giorno Mario, che discorreva volentieri con gravità, pur attraverso la sua felicità, disse a proposito di non so quale incidente:
      «Gli uomini e le rivoluzioni sono tanto grandi, che hanno già il prestigio dei secoli, come Catone e Focione, e ciascun d'essi sembra una memoria antica.»
      «Moarè antico!» esclamò il vecchio. «Grazie, Mario, è proprio l'idea che cercavo.»
      E il giorno dopo, un magnifico vestito di moarè antico, color tè, andava ad arricchire i doni di nozze di Cosette.
      Il nonno estraeva da quei fronzoli la saggezza.
      «L'amore è una bella cosa; ma ci vogliono insieme queste bazzecole; ci vuole l'inutile nella felicità. La felicità è il puro necessario, e bisogna che me la condiate molto di superfluo. Un palazzo e il suo cuore, il suo cuore e il Louvre, il suo cuore e le ampie vasche d'acqua di Versailles. Datemi la mia pastorella, e fate in modo che sia duchessa, conducetemi Fillide incoronata di fiordalisi e aggiungetele centomila lire di rendita; guidatemi ad una festa campestre sotto un colonnato di marmo, ed acconsentirò alla pastorale ed anche alla fantasmagoria del marmo e dell'oro. La felicità sola è come il pane solo: si mangia, ma non si fa un pasto. Io voglio il superfluo, l'inutile, lo stravagante, il troppo, quel che non serve a nulla. Mi ricordo d'aver visto nella cattedrale di Strasburgo un orologio alto come una casa a tre piani, che segnava l'ora e si degnava di segnarla, ma non aveva l'aria d'esser stato fatto per quello; e, dopo aver suonato mezzogiorno o mezzanotte, mezzogiorno, l'ora del sole, e mezzanotte, l'ora dell'amore, o una qualunque ora, vi faceva vedere la luna e le stelle, la terra e il mare, gli uccelli e i pesci, Febo e Febea, e una sequela di cose che uscivano da una nicchia, e i dodici apostoli e l'imperatore Carlo Quinto, ed Eponina e Sabino e una quantità di vecchietti dorati che suonavan la tromba, per giunta.