Triton trottava innanzi e la sua conca davaSuoni sì deliziosi, che tutti deliziava.
Ecco un programma di feste, perdiana, o che io non capisco più nulla!»
Mentre il nonno, in piena effusione lirica, stava ascoltando se stesso, Cosette e Mario andavano in estasi guardandosi liberamente.
La zia Gillenormand osservava tutto colla solita imperturbabile placidità. Da cinque o sei mesi a quella parte aveva avuto una quantità d'emozioni: Mario tornato, Mario riportato sanguinante, e riportato da una barricata, Mario morto, e poi vivo, Mario riconciliato, Mario fidanzato, Mario che si sposava con una ragazza povera, Mario che si sposava con una milionaria. I seicentomila franchi eran stati la sua ultima sorpresa; ma poi le era tornata la sua indifferenza di comunicanda. Si recava regolarmente agli uffici sacri, sgranava il suo rosario, leggeva il suo libro di preghiere domenicali, bisbigliava in un angolo della casa qualche Ave, mentre in un altro venivan bisbigliati degli I love you, e, vagamente, vedeva Mario e Cosette come due ombre. L'ombra, invece, era lei.
V'è uno stato d'ascetismo inerte in cui l'anima, neutralizzata dal torpore e resa estranea a quella che potrebbe chiamarsi la fatica di vivere, non percepisce, all'infuori dei terremoti e delle catastrofi, alcuna impressione umana, né piacevole né penosa. «Questa tua devozione,» diceva papà Gillenormand alla figlia «corrisponde al raffreddore: tu non senti nulla della vita, né i cattivi né i buoni odori.»
Del resto, i seicentomila franchi avevan eliminato le indecisioni della vecchia zitella.
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