Mario, come abbiam detto, non si ricordava più di nulla; aveva solo il ricordo d'esser stato afferrato dietro da una mano energica, nel momento in cui cadeva rovescioni nella barricata; poi tutto era sparito, nella sua mente, e non aveva ripreso i sensi che in casa di Gillenormand.
Egli si perdeva in congetture.
Non poteva dubitare della propria identità. Eppure, come era possibile che, caduto in via Chanvrerie, fosse stato raccolto da un agente di polizia sulla riva della Senna, vicino al ponte degli Invalidi? Qualcuno, dunque, l'aveva portato dal quartiere dei mercati fino ai Campi Elisi, e in che modo? Attraverso la fogna. Oh, inaudito sacrificio!
Qualcuno; ma chi?
Era per l'appunto quell'uomo, che Mario cercava. Ma di quell'uomo, il suo salvatore, nulla: non una traccia, non il minimo indizio.
Sebbene da questo lato fosse costretto ad una grande riservatezza, Mario spinse le sue ricerche fino alla prefettura di polizia; ma lì, come altrove, le informazioni raccolte non chiarirono nulla. La prefettura ne sapeva meno del vetturino; non si era a conoscenza di alcun arresto, operato il 6 giugno al cancello della Cloaca Grande, né si era ricevuta alcuna relazione d'agente su quello che, in prefettura, era ritenuto una fiaba, della quale si attribuiva l'invenzione al vetturino. Un vetturino che vuole una mancia è capace di tutto, perfino d'essere immaginoso; eppure il fatto era certo e Mario non poteva dubitarne, a meno che non dubitasse, come abbiam detto, della propria identità.
Tutto era inesplicabile, in quello strano enigma.
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