La Grecia aveva bisogno del carro di Tespi, la Francia ha bisogno della carrozza a nolo di Vadé.
Tutto può esser parodiato, perfino la parodìa. I saturnali, smorfia della bellezza antica, giungono, di ingrandimento in ingrandimento, al martedì grasso; ed il baccanale, incoronato un tempo di pampini e inondato di sole, che mostrava i seni marmorei in una seminudità divina, infrollito oggi sotto gli umidi cenci del nord, ha finito per chiamarsi pagliacciata.
La tradizione delle carrozze mascherate risale ai più vecchi tempi della monarchia. I conti di Luigi XI accordano al balivo di palazzo «venti soldi tornesi, per tre cocchi di maschere nei crocicchi»; ai nostri giorni, quei chiassosi agglomeramenti di creature si fanno abitualmente scarrozzare da qualche vecchio omnibus, di cui ingombrano l'imperiale, oppure gravano in tumultuoso gruppo su qualche landò della pubblica amministrazione, dai mantici abbassati. Sono in venti in un veicolo che ne porta sei; ve ne sono in serpa, sul seggiolino mobile, sui fianchi del mantice, sul timone; si pongono perfino a cavallo dei fanali della carrozza. Stanno ritti, sdraiati, seduti, coi garretti rattrappiti e le gambe penzoloni; le donne sulle ginocchia degli uomini. Si scorge da lungi sul formicolio umano la loro forsennata piramide, e quelle scarrozzate formano montagne d'allegrezza in mezzo alla calca; ne sgorgano Collé, Panard e Piron, arricchiti dal gergo; di lassù si sputa sul popolo a catechismo del popolaccio, e quella carrozza di piazza, fatta smisurata dal suo carico, ha un'aria di conquista.
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