Cosette e Mario erano stati eletti.
Cosette, così al municipio che in chiesa, era raggiante e commovente. Era stata vestita da Toussaints, aiutata da Nicoletta, e portava, sulla gonna di seta bianca, l'abito di merletto di Binche, un velo di punto inglese, una collana di perle fini e la corona di fiori d'arancio. Tutto era bianco, ed ella splendeva in quel candore delicato, che si dilatava e si trasfigurava nella luce; la si sarebbe detta una vergine, che stesse per divenire dea.
I bei capelli di Mario erano lucidi e profumati; qua e là, sotto i folti riccioli, s'intravedevano alcune strisce sbiadite, le cicatrici della barricata.
Il nonno, superbo, e a testa eretta, fondendo più che mai nel suo abbigliamento e nelle maniere tutte le eleganze del tempo di Barras, faceva da cavaliere a Cosette e sostituiva Valjean, il quale, per via del braccio al collo, non poteva star a braccetto della sposa.
Valjean, in nero, li seguiva sorridente.
«Signor Fauchelevent,» gli diceva il nonno «ecco una bella giornata. Io voto la fine delle afflizioni e dei dolori. Ormai, bisogna che non vi sian più tristezze, perdiana! Decreto l'allegria. Il male non ha diritto d'esistere; e, in verità, è vergognoso per l'azzurro del cielo che vi siano uomini infelici. Il male non proviene dall'uomo, che, in fondo, è buono; tutte le miserie umane hanno per capoluogo e per governo centrale l'inferno, altrimenti detto le Tuileries del diavolo. Ma bene! Ecco che ora vado dicendo frasi demagogiche! Per quel che mi riguarda, non ho più opinioni politiche.
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