Era il matrimonio sublimato, e quei due giovani eran due gigli. Non si vedevano e si contemplavano; Cosette scorgeva Mario in un nimbo e Mario Cosette su un altare: e su quell'altare e in quel nimbo, nella fusione delle due apoteosi, in fondo, non si sa come, dietro una nube, per Cosette, dietro una vampata, per Mario, v'era la cosa ideale e reale, il luogo di convegno del bacio e del sogno, l'origliere nuziale.
Tutto il tormento provato veniva loro restituito, trasformato in ebbrezza; sembrava che dolori, insonnie, lagrime, angosce, spaventi e disperazioni, divenuti carezze e raggi, rendessero ancor più incantevole l'ora incantevole che stava avvicinandosi; sembrava che le tristezze fossero loro d'aiuto per la toletta della gioia. Com'era bello, aver tanto sofferto! La disgrazia formava un'aureola alla loro felicità; la lunga lotta del loro amore faceva capo ad un'ascensione.
V'era in quelle due anime lo stesso incantesimo, con una sfumatura di voluttà in Mario, e di pudore in Cosette; e si dicevano a bassa voce: «Andremo a rivedere il nostro giardinetto di via Plumet.» Le pieghe dell'abito di Cosette sfioravano Mario.
Una giornata simile è un'ineffabile alternativa di sogno e di certezza: si possiede e si suppone. V'è ancora tanto tempo davanti quanto ne occorra per indovinare, e in quel giorno è un'emozione indicibile che sia mezzogiorno e pensare a mezzanotte.
Le delizie di quei due cuori traboccavan sulla folla e mettevano allegria ai passanti. In via Sant'Antonio, davanti a San Paolo, la gente si fermava per vedere attraverso il vetro della carrozza i fiori d'arancio che tremavano in testa a Cosette.
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