Poi ritornarono a casa, in via Filles du Calvaire. Mario salì a fianco di Cosette, trionfante e raggiante, quelle scale su cui l'avevan trasportato moribondo; i poveri, raccolti davanti alla porta a dividersi la borsa a loro gettata, li benedicevano. Dappertutto vi eran fiori, e la casa non era meno profumata della chiesa: dopo l'incenso, le rose. Credevan di sentir cantare nell'infinito un coro di voci; il destino appariva loro come un soffitto di stelle; sopra il loro capo vedevano un bagliore di sole levante. Ad un tratto, l'orologio suonò. Mario guardò il grazioso braccio ignudo di Cosette e quel che di roseo si scorgeva vagamente attraverso i merletti del corpetto; e Cosette, allo sguardo di Mario, arrossì fino nel bianco degli occhi.
Un buon numero d'amici della famiglia Gillenormand erano stati invitati; e tutti s'affaccendavano intorno a Cosette a gara nel chiamarla signora baronessa.
L'ufficiale Teodulo Gillenormand, ormai capitano, era venuto da Chartres, dove si trovava di guarnigione, per assistere alle nozze del cugino Pontmercy. Cosette non lo riconobbe ed egli, da parte sua, avvezzo ad esser trovato grazioso dalle donne, non si ricordò più di Cosette che di qualunque altra.
«Come ho avuto ragione di non credere a quelle storie del lanciere!» diceva fra sé papà Gillenormand.
Mai Cosette era stata più tenera per Valjean. All'unisono con papà Gillenormand, mentre questi erigeva l'allegria ad aforismi ed a massime, ella emanava bontà e amore, come un profumo: poiché la felicità vuole tutti felici.
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