) sull'inseparabile, di cui Cosette era stata gelosa, sulla valigetta che non l'abbandonava mai. Il 4 giugno, giungendo in via dell'Homme-Armé, l'aveva deposta sopra una mensola, vicino al capezzale. Si diresse a quella mensola come avesse fretta, levň di tasca una chiave ed aperse la valigia.
Ne tolse lentamente le vesti colle quali, dieci anni prima, Cosette aveva abbandonato Montfermeil: prima, la vesticciuola nera, poi il fisciů nero, poi le solide scarpe da fanciulla che Cosette avrebbe potuto calzare ancora, tanto aveva il piede piccolo, poi il giubbettino di fustagno spessissimo, la sottanina di maglia, il grembiule colle tasche, le calze di lana. Quelle calze, in cui era ancor rimasta graziosamente la forma d'una gambetta, non eran piů lunghe della mano di Valjean: tutto, poi, era di color nero. Era stato lui a portare quegli indumenti a Montfermeil, per lei. A mano a mano che li toglieva dalla valigia, li posava sul letto, pensava, e si ricordava. Era inverno, un gelido mese di dicembre; ella tremava seminuda nei suoi cenci, coi poveri piedini tutti rossi negli zoccoli, ed egli, Jean Valjean, le aveva fatto abbandonare quei cenci per farle indossare quelle vesti da lutto. La madre aveva dovuto esser contenta nella sua tomba, vedendo la figlia portare il lutto per lei, e soprattutto ch'era vestita ed aveva caldo. Pensava a quella foresta di Montfermeil, che avevano attraversata insieme, Cosette e lui; pensava al tempo che faceva, agli alberi senza foglie, al bosco senza uccelli, al cielo senza sole: eppure, era tanto bello!
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