E ancora una volta, Valjean aveva la scelta fra il porto terribile e l'imboscata sorridente.
È dunque vero che l'anima possa guarire e la sorte no? Che cosa spaventosa un destino incurabile!
Ecco quale problema gli si presentava:
In qual modo si sarebbe comportato verso la felicità di Cosette e di Mario? Egli aveva voluto e fatta quella felicità, se l'era immersa da solo nelle viscere, e in quel momento, osservandola, poteva avere quella specie di soddisfazione che avrebbe un armaiuolo, il quale riconoscesse la propria marca di fabbrica sopra un coltello, ritirandoselo tutto fumante dal petto.
Cosette aveva Mario, e Mario possedeva Cosette. Essi avevano tutto, anche la ricchezza; ed era opera sua.
Ma che stava per fare, egli, di quella felicità, ora che esisteva, ch'era presente? Si sarebbe imposto ad essa? L'avrebbe trattata come se gli appartenesse? Certo, Cosette era di un altro; ma egli, Valjean, avrebbe cercato di trattenere di Cosette tutto quello che gli sarebbe stato possibile? Sarebbe rimasto quella specie di padre, intravisto, ma rispettato, ch'era stato fino allora? Si sarebbe introdotto tranquillamente nella casa di Cosette? Avrebbe recato in retaggio, senza dir nulla, il suo passato a quell'avvenire? Si sarebbe presentato come avente diritto e si sarebbe seduto, col suo velo, a quel luminoso focolare? Avrebbe preso, sorridendo loro, le mani di quegli innocenti nelle sue mani tragiche? Avrebbe posato sui pacifici alari del salotto Gillenormand i suoi piedi, che si trascinavano dietro l'ombra infamante della legge?
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