«Perbacco, signore,» osservò Basco «ci siamo svegliati tardi, oggi.»
«S'è alzato il vostro padrone?» chiese Jean Valjean.
«Come va il braccio del signore?» rispose Basco.
«Meglio. S'è alzato, il vostro padrone?»
«Quale? Il vecchio o il nuovo?»
«Il signor Pontmercy.»
«Il signor barone?» fece Basco, rizzandosi impettito.
Si è barone soprattutto per i propri domestici, come se ad essi ne venisse qualche cosa; a loro va quello che un filosofo chiamerebbe la pillacchera del titolo, e ciò li lusinga. Mario, sia detto di sfuggita, repubblicano militante (e l'aveva dimostrato), era ormai barone suo malgrado. Una piccola rivoluzione s'era compiuta in famiglia, a proposito di quel titolo: ora, Gillenormand ci teneva e Mario se ne curava poco. Ma il colonnello Pontmercy aveva scritto: Mio figlio porterà il mio titolo, e Mario ubbidiva; d'altra parte, Cosette, in cui incominciava a far capolino la donna, era tutta contenta d'esser baronessa.
«Il signor barone?» ripeté Basco. «Vado a vedere; gli dirò che c'è il signor Fauchelevent.»
«No; non ditegli che sono io. Ditegli che c'è un tale che desidera parlargli da solo a solo, e non ditegli il nome.»
«Ah!» fece Basco.
«Voglio fargli una sorpresa.»
«Ah!» riprese Basco, dando quel secondo Ah! a se stesso, come spiegazione del primo. Ed uscì.
Valjean rimase solo.
Il salotto, come dicevamo, era tutto in disordine; stando in ascolto, si sarebbe forse potuto ancor sentire un vago rumore di festa nuziale. Il pavimento era seminato d'ogni specie di fiori, caduti dalle ghirlande e dalle acconciature.
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